12/09/11

Marijuana è la neccessità di chiarezza.. una sentenza fa da apripista?

Una  svolta importante  verso la necessità di chiarire e dare una direzione certa ad un problema molto forte.
Si impone il confronto tra moralisti, ed utilizzatori tra necessità ed interessi. Una regolamentazione che potrebbe portare al controllo, ed alla gestione del fenomeno Marijuana, ma sopratutto degli interessi che da questa ne dervian.
La sentenza 28 giugno 2011, n. 25674 conferma l'opinione – più volta espressa da chi scrive – che gli indirizzi giurisprudenziali che riguardano la rilevanza penale della coltivazione di piante che possano produrre sostanze stupefacenti, risultano, allo stato attuale, tutt'altro che pacifici ed univoci.
La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, infatti, rompe il fronte della giurisdizionale di legittimità (sino ad oggi granitico e costante nell'affermare sic et simpliciter l'illiceità penale della condotta coltivativa) e coglie l'occasione per porre l'accento sullo specifico elemento dell'offensività dell'azione, inteso quale discrimine fra fatto-reato e fatto-non reato.
La sentenza segna, pertanto, un primo, seppur timido, passo di allontanamento rispetto a quelle più conservatrici e radicali posizioni assunte dalla giurisprudenza, le quali hanno trovato la loro massima espressione nella nota sentenza delle SS.UU., sentenza 24 aprile -10 Luglio 2008, n. 28605.
Con tale pronunzia veniva negata, infatti, ogni distinzione fra la coltivazione domestica e coltivazione agraria, categorie fattuali che erano state elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, onde potere operare una concreta distinzione fra condotte che presentavano – guarda caso – proprio stimmate di offensività tra loro evidentemente e sostanzialmente differenti.
Pur con grande prudenza, la sentenza 25674/2011 evidenzia, infatti, come proprio questo negativo pronunziamento delle SS.UU. si sia soffermato, con specifica attenzione, proprio sul tema dell'offensività, conferendo al medesimo, rilevante importanza.
La Quarta Sezione, quindi, attraverso un'esposizione articolata di vari esempi normativi nei quali emerge la strategicità del concetto di offensività, dimostra, però di avere iniziato un'opera di recepimento e metabolizzazione dell'insieme delle considerazioni formulate in plurime sentenze pronunziate dai giudici di merito sull'argomento.
Va, infatti, detto che, nonostante il distinguo sopra richiamato, le SS.UU. avevano tassativamente confinato la coltivazione all'interno del recinto dell'illecito penale, disattendendo, così, il principio, in base al quale si evocava la necessità di una verifica effettiva e reale della sussunzione della condotta coltivativa nella parte precettiva della norma incriminatrice.
L'importanza della pronunzia della Quarta Sezione consiste, quindi, nell'avere privilegiato non già un dato astratto (il divieto precettivo assoluto della coltivazione), bensì un riferimento concreto che è relativo alla idoneità del prodotto della coltivazione a produrre effetti droganti.
Il dato di fatto e di diritto da cui muovere è, quindi, che la coltivazione non può apparire penalmente rilevante, quindi, quando il numero delle piante piantumate e la produzione, così, ottenuta appaia talmente minima da non porre minaccia ai beni della salute o della sicurezza pubblica.
L'orientamento della Suprema Corte, dunque, si pone nel senso che il limite, in base al quale la condotta coltivativa diviene offensiva (e dunque assume importanza penale) è dato o dal superamento della soglia drogante, oppure dalla oggettiva modestia del numero della piante (apparentemente meno rilevante e di mero corollario apparirebbe- il condizionale è d'obbligo - l'insieme delle modalità) attraverso le quali la coltivazione si esprime.
Non è però casuale, quindi, che la sentenza del giudice di legittimità qualifichi l'azione incriminata come “coltivazione domestica” (e non si può pensare né ad un lapsus od ad un refuso), muovendo, pertanto, da quella disamina complessiva dell'azione – all'apparenza relegata ai margini dei criteri decisionali - dalla quale emergano in concreto parametri estremamente minimali.
Possiamo, quindi, pensare che, in virtù di questi segnali seppure contraddittori, si sia innescato un processo di irreversibile e progressiva modifica interpretativa in senso favorevole alla coltivazione?
La risposta, in proposito, è assai ardua ed il quesito impone grande prudenza, perchè non è dato sapersi se la sentenza della Quarta Sezione sia frutto di una valutazione estemporanea e contingente, oppure essa se mira ad introdurre progressivamente un approccio meno giustizialista al tema in questione.
Certo è, che il requisito della inoffensività appare costituire un elemento che ben si coniuga con comportamenti che appaiano inequivocabilmente preliminari e strumentali ad usi strettamente personali di sostanze stupefacenti, quale è la forma di coltivazione a suo tempo definita domestica.
La Corte, in buona sostanza, fa rientrare (dalla finestra ed in maniera assai cauta) nell'alveo delle categorie interpretative, il concetto di coltivazione domestica (intesa come azione scriminata, cioè non punibile).
Tale principio pareva, invece, essere stata espulso dalla porta principale, con il pronunziamento delle SS.UU., e così si alimentano ulteriori incertezze ermeneutiche.
Si deve, inoltre, osservare che, se – come pacificamente sancito in dottrina e giurisprudenza - lo scopo perseguito dal complesso delle norme sugli stupefacenti è di carattere preventivo, in quanto mira al contrasto della minaccia che le citate condotte determinano per i beni giuridici della salute e sicurezza, venendo, così, conferito ai delitti inseriti nel dpr 309/90, il carattere di reati di pericolo, l'offensività dell'azione (e la sua antigiuridicità) dovrebbe essere ritenuta in re ipsa, senza dovere verificare limiti di sorta in ordine al quantitativo.
Il parametro valutativo dell'offensività dovrebbe, quindi, produrre effetti – ai fini decisori – limitati e circoscritti solo alla graduazione ed individuazione del livello di gravità del fatto-reato.
La sua ravvisabilità o meno dovrebbe apparire strumentale al giudizio di configurabilità concreta e di successiva applicabilità di eventuali circostanze attenuanti od aggravanti.

fonte (http://www.altalex.com)

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