12/09/11

CDS, BOND, DEBITO SOVRANO, SWAP, tanti termini un solo concetto.. FREGATI


Ci risiamo, si specula sulla testa del popolo, ora tocca all'Italia, così come successo con Grecia ed altri prima di loro, ora tocca a noi e presto alla Spagna.
Partiamo da un termine fortemente utilizzato in questi giorni: Lo spread.
Ci riferiamo in particolare allo spread tra titoli tedeschi e quelli italiani.
Lo spread è il differenziale tra la rendita percepita su un Bund tedesco e un BTP Italiano a maturazione di 10 anni
Per l’Economist ogni punto di percentuale di interesse sul debito italiano aumenta il nostro disavanzo di circa 12 milliardi di Euro annui.
Attenzione da questi semplici termini arriva la prima possibilità di fregatura: lo spread potrebbe non essere solo uno specchio della solidità del nostro debito ma anche la causa del suo gonfiarsi. Vi è infatti la possibilità che chiedendo rendite sempre più alte sui BTP si giunga ad un inasprimento della nostra posizione rispetto ai creditori e dunque ad un ulteriore innalzamento dei tassi e quindi dello spread. È proprio qui che nasce il timore di un attacco speculativo.
Torniamo indietro un passo abbiamo palato di bond, cosa sono:
Quando il governo è a corto di denaro, esso emetterà dei bond nella sua valuta locale o in valuta internazionale. Se le obbligazioni sono in valuta locale, sono chiamati titoli di Stato. Le persone sono interessate ad acquistare dei titoli di stato grazie alla loro elevata sicurezza e ai ritorni assicurati. Sono infatti uno strumento a reddito fisso. Gli obbligazionisti riceveranno poi sia la somma di denaro investita che un certo tasso di interesse. I titoli di Stato sono suddivisi in categorie in base alla durata dei titoli. La crisi dei debiti sovrani nasce perché il mercato chiede tassi sempre più alti per sottoscrivere i titoli di Stato dei paesi più indebitati. L'Italia rischia di più perché oltre ad avere il terzo debito più alto del mondo (1.900 miliardi) ha da anni la maglia nera per crescita in Europa. Nell'ultimo decennio il nostro Pil
Abbiamo quindi definito anche il concetto sempre più utilizzato di debito sovrano, ovvero:
debito dello Stato nei confronti di altri soggetti, individui, imprese, banche o stati esteri, che hanno sottoscritto un credito allo Stato sotto forma di obbligazioni (quali, in Italia, BOT, BTP, CCT ecc...) destinate a coprire il disavanzo del fabbisogno finanziario statale ovvero coprire l'eventuale deficit pubblico nel bilancio dello Stato.
Ma storicamente cosa era il debito sovrano?
Con il termine debito sovrano si definiva giustamente il debito contratto dai regnanti dal Medioevo fino al XIX secolo. Il sovrano gestiva a suo piacimento il debito quando questo era arrivato a livelli di insostenibilità. Una delle pratiche più diffuse – svariate citazioni storiche le troviamo in tutti i classici del pensiero economico, a partire da Adam Smith – era quella di ritirare le monete d’oro o d’argento in circolazione e riconiarle, avendo cura di lasciare immutato il valore nominale mentre diminuiva il peso specifico in oro. In altri termini, i sovrani tagliavano il loro debito sottraendo valore d’uso alle monete che mantenevano il loro valore nominale. E i sudditi non avevano alternative: dovevano usare quelle monete che avevano subito una perdita di valore. Questo non vi riporta al signoreggio? Ovvero che realmente perde valore fino a non averne che viene impiegata con valore nominale elevatissimo.. signoraggio, ovvero il potere assoluto del sovrano sulla emissione e circolazione della moneta/denaro.
Che cosa ha a che vedere il termine attuale di debito sovrano con quello passato?
Ve lo dico io una solenne fregatura per chi produce realmente ricchezza, servizi, per chi lavora.
Vi segnalo ora un terzo termine fregatura il CDS o meglio credit default swap
Il credit default swap (CDS) è uno swap (per i CDS è un contratto di assicurazione che prevede il pagamento di un premio periodico in cambio di un pagamento di protezione nel caso di fallimento di un'azienda di riferimento. ) che ha la funzione di trasferire l'esposizione creditizia di prodotti a reddito fisso tra le parti. È il derivato creditizio più usato. È un accordo tra un acquirente ed un venditore per mezzo del quale il compratore paga un premio periodico a fronte di un pagamento da parte del venditore in occasione di un evento relativo ad un credito (come ad esempio il fallimento del debitore) cui il contratto è riferito. Il CDS viene spesso utilizzato con la funzione di polizza assicurativa o copertura per il sottoscrittore di un'obbligazione. Tipicamente la durata di un CDS è di cinque anni e sebbene sia un derivato scambiato sul mercato (non regolamentato) è possibile stabilire qualsiasi durata.
(Questa cosa ricorda tanto la crisi Usa dei derivati e tutto ciò che ne è scaturito)
Ma questa porcheria non è soltanto ammessa, ma viene gestita da un vero e proprio mercato di scambio (non riconosciuto ufficialmente) che prende il nome di over-the-counter caratterizzato dal non avere i requisiti riconosciuti ai mercati regolamentati. Sono mercati la cui negoziazione si svolge al di fuori dei circuiti borsistici ufficiali. Pensate cosa possono fare degli abili avvoltoi speculatori sfruttando e gestendo questo mercato.
Il funzionamento è molto semplice, un acquirente di azioni (o qualsiasi altra cosa) si vuole assicurare sul risultato e stipula un contratto a due con un assicuratore. Questo finché le azioni vanno bene incassa dall'assicurato dei soldi in proporzione al valore di rischio (più sale il riscio più aumenterà l'assicurazione), se le azioni saltano (ovvero la società che le ha emesse fallisce) l'assicurato riceve un premio assicurativo stabilito dal contratto. Ricordate che questi titoli assicurativi sono scambiabili, da qui deriva il mercato sopra citato. Ora secondo voi se un azienda (o uno stato) va male.. le grandi assicurazioni (o grandi gruppi di interesse economico/politico) avranno vantaggio a che la situazione migliori o peggiori? Stando attenti a non far fallire la società o meglio nel nostro caso lo Stato che ha firmato quei contratti assicurativi, magri con interventi specifici delle banche centrali, ecc (visto che più ci si avvicina al punto di default più il premio assicurativo cresce, più la società incassa dall'assicurato, più il titolo rende e quindi acquisisce valore sul mercato CDS).
Rimane facile capire come ancora una volta tutto questo si scarichi sui cittadini che si trovano a doversi confrontare con manovre circensi per gestire imposizioni della UE, necessità dello stato, ecc.

Marijuana è la neccessità di chiarezza.. una sentenza fa da apripista?

Una  svolta importante  verso la necessità di chiarire e dare una direzione certa ad un problema molto forte.
Si impone il confronto tra moralisti, ed utilizzatori tra necessità ed interessi. Una regolamentazione che potrebbe portare al controllo, ed alla gestione del fenomeno Marijuana, ma sopratutto degli interessi che da questa ne dervian.
La sentenza 28 giugno 2011, n. 25674 conferma l'opinione – più volta espressa da chi scrive – che gli indirizzi giurisprudenziali che riguardano la rilevanza penale della coltivazione di piante che possano produrre sostanze stupefacenti, risultano, allo stato attuale, tutt'altro che pacifici ed univoci.
La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, infatti, rompe il fronte della giurisdizionale di legittimità (sino ad oggi granitico e costante nell'affermare sic et simpliciter l'illiceità penale della condotta coltivativa) e coglie l'occasione per porre l'accento sullo specifico elemento dell'offensività dell'azione, inteso quale discrimine fra fatto-reato e fatto-non reato.
La sentenza segna, pertanto, un primo, seppur timido, passo di allontanamento rispetto a quelle più conservatrici e radicali posizioni assunte dalla giurisprudenza, le quali hanno trovato la loro massima espressione nella nota sentenza delle SS.UU., sentenza 24 aprile -10 Luglio 2008, n. 28605.
Con tale pronunzia veniva negata, infatti, ogni distinzione fra la coltivazione domestica e coltivazione agraria, categorie fattuali che erano state elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, onde potere operare una concreta distinzione fra condotte che presentavano – guarda caso – proprio stimmate di offensività tra loro evidentemente e sostanzialmente differenti.
Pur con grande prudenza, la sentenza 25674/2011 evidenzia, infatti, come proprio questo negativo pronunziamento delle SS.UU. si sia soffermato, con specifica attenzione, proprio sul tema dell'offensività, conferendo al medesimo, rilevante importanza.
La Quarta Sezione, quindi, attraverso un'esposizione articolata di vari esempi normativi nei quali emerge la strategicità del concetto di offensività, dimostra, però di avere iniziato un'opera di recepimento e metabolizzazione dell'insieme delle considerazioni formulate in plurime sentenze pronunziate dai giudici di merito sull'argomento.
Va, infatti, detto che, nonostante il distinguo sopra richiamato, le SS.UU. avevano tassativamente confinato la coltivazione all'interno del recinto dell'illecito penale, disattendendo, così, il principio, in base al quale si evocava la necessità di una verifica effettiva e reale della sussunzione della condotta coltivativa nella parte precettiva della norma incriminatrice.
L'importanza della pronunzia della Quarta Sezione consiste, quindi, nell'avere privilegiato non già un dato astratto (il divieto precettivo assoluto della coltivazione), bensì un riferimento concreto che è relativo alla idoneità del prodotto della coltivazione a produrre effetti droganti.
Il dato di fatto e di diritto da cui muovere è, quindi, che la coltivazione non può apparire penalmente rilevante, quindi, quando il numero delle piante piantumate e la produzione, così, ottenuta appaia talmente minima da non porre minaccia ai beni della salute o della sicurezza pubblica.
L'orientamento della Suprema Corte, dunque, si pone nel senso che il limite, in base al quale la condotta coltivativa diviene offensiva (e dunque assume importanza penale) è dato o dal superamento della soglia drogante, oppure dalla oggettiva modestia del numero della piante (apparentemente meno rilevante e di mero corollario apparirebbe- il condizionale è d'obbligo - l'insieme delle modalità) attraverso le quali la coltivazione si esprime.
Non è però casuale, quindi, che la sentenza del giudice di legittimità qualifichi l'azione incriminata come “coltivazione domestica” (e non si può pensare né ad un lapsus od ad un refuso), muovendo, pertanto, da quella disamina complessiva dell'azione – all'apparenza relegata ai margini dei criteri decisionali - dalla quale emergano in concreto parametri estremamente minimali.
Possiamo, quindi, pensare che, in virtù di questi segnali seppure contraddittori, si sia innescato un processo di irreversibile e progressiva modifica interpretativa in senso favorevole alla coltivazione?
La risposta, in proposito, è assai ardua ed il quesito impone grande prudenza, perchè non è dato sapersi se la sentenza della Quarta Sezione sia frutto di una valutazione estemporanea e contingente, oppure essa se mira ad introdurre progressivamente un approccio meno giustizialista al tema in questione.
Certo è, che il requisito della inoffensività appare costituire un elemento che ben si coniuga con comportamenti che appaiano inequivocabilmente preliminari e strumentali ad usi strettamente personali di sostanze stupefacenti, quale è la forma di coltivazione a suo tempo definita domestica.
La Corte, in buona sostanza, fa rientrare (dalla finestra ed in maniera assai cauta) nell'alveo delle categorie interpretative, il concetto di coltivazione domestica (intesa come azione scriminata, cioè non punibile).
Tale principio pareva, invece, essere stata espulso dalla porta principale, con il pronunziamento delle SS.UU., e così si alimentano ulteriori incertezze ermeneutiche.
Si deve, inoltre, osservare che, se – come pacificamente sancito in dottrina e giurisprudenza - lo scopo perseguito dal complesso delle norme sugli stupefacenti è di carattere preventivo, in quanto mira al contrasto della minaccia che le citate condotte determinano per i beni giuridici della salute e sicurezza, venendo, così, conferito ai delitti inseriti nel dpr 309/90, il carattere di reati di pericolo, l'offensività dell'azione (e la sua antigiuridicità) dovrebbe essere ritenuta in re ipsa, senza dovere verificare limiti di sorta in ordine al quantitativo.
Il parametro valutativo dell'offensività dovrebbe, quindi, produrre effetti – ai fini decisori – limitati e circoscritti solo alla graduazione ed individuazione del livello di gravità del fatto-reato.
La sua ravvisabilità o meno dovrebbe apparire strumentale al giudizio di configurabilità concreta e di successiva applicabilità di eventuali circostanze attenuanti od aggravanti.

fonte (http://www.altalex.com)